Mammoni  si è o si diventa? Una domanda alla quale la psicologia risponde mettendo in evidenza la multifattorialità  all’origine di qualunque comportamento  in cui , predisposizioni  individuali, dinamiche familiari, contesto socio-culturale si combinano per  trovare esito in traiettorie più o meno disfunzionali.
Le statistiche ci informano e consegnano una fotografia del nostro Paese in cui sembra esserci una  tendenza dei giovani a non lasciare la casa dei genitori, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni.
La percentuale di coloro che sono tra i 25 e i 34 anni e vivono con i genitori ha raggiunto il 50,6%Â con quasi 22 punti in piĂą rispetto alla media europea.
Si tratta di una fascia d’età molto ampia in cui è presumibile che si siano terminati gli studi, una fascia nella quale si dovrebbe riuscire ad entrare nel mondo del lavoro.
Occorre, dunque, contestualizzare i comportamenti e operare una differenza tra i mammoni per “Scelta” e i mammoni per “ necessità ” A quest’ultima categoria appartengono coloro che – pur volendo – non riescono a trovare opportunitĂ per lasciare la casa dei genitori; mentre per “mammoni per scelta”   identifichiamo  uomini adulti che – nonostante abbiano le possibilitĂ economiche, un lavoro, l’etĂ giusta per farlo, e magari anche una relazione stabile –  ancora non riescono ad allontanarsi da casa, sia fisicamente che psicologicamente.
In quest’ultimo caso,  potremmo trovarci di fronte a un sistema familiare in cui non è possibile portare a termine la fase di ciclo vitale dello “svincolo”. Un tempo -giusto e necessario – in cui i figli per un naturale un processo di crescita, separazione e autonomia, inducono nel sistema familiare una “crisi” evolutiva. Un tempo di trasformazione dell’intero sistema in cui i vecchi schemi vengono messi in discussione, ci si mette dunque alla ricerca di nuove e piĂą funzionali dinamiche,  maggiormente rispondenti – a quel punto – ai bisogni di questa nuova fase della vita.
In letteratura si parla di “Svincolo incrociato” e “sindrome del nido vuoto” per evidenziare quanto il processo di separazione e autonomia di un figlio coinvolga necessariamente  tutti i membri del nucleo familiare.
L’uscita di un figlio comporta  nuovi assetti  ed equilibri, anche sul versante della coppia genitoriale. I genitori, cioè, sono chiamati ad abbandonare il ruolo genitoriale per ricontrattare quello di coppia coniugale, molto spesso – col passare degli anni – quasi completamente abbandonato per  aver svolto in modo quasi esclusivo quello di genitore. Comportamento questo assai frequente nelle famiglie con figlio unico.
Il processo di separazione è, quindi, bidirezionale:  mentre il figlio si separa dai genitori, contemporaneamente anche i genitori sono chiamati a separarsi dal figlio.
E non basta. Portare a compimento e con successo il processo di separazione e svincolo dipende da “miti familiari” che spesso sono ereditati dalle generazioni precedenti e che hanno a che fare con le modalità con cui è avvenuto lo svincolo dei propri genitori dalle proprie famiglie di origine.
Se la separazione di un figlio è vissuta  solo in termini di “perdita” con molta probabilità si metteranno in atto comportamenti (spesso inconsapevoli) per ritardare o addirittura ostacolare questo passaggio.
Se perdere il ruolo di genitore significa perdere una funzione identitaria , ritardare o bloccare lo “svincolo” del proprio figlio significa vincolarlo all’assolvimento di  una funzione protettiva.
L’incapacità a separarsi del figlio di fatto copre e protegge l’incapacità genitoriale a gestire questo evento: ne scaturisce la tendenza all’omeostasi del nucleo . E allora, riguardando ai freddi dati forniti e ai facili titoli di giornale, ovviamente sintetici del fenomeno, è forse più corretto parlare di Famiglie Mammone per genitori e figli incapaci di passare al livello successivo di quell’imprevedibile videogame della vita di relazione.