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I papà ai tempi del Coronavirus

di Loredana Petrone

Il papà non è solo
l’amico delle capriole sul letto grande,
non è solamente l’albero al quale mi arrampico
come un piccolo orso,
non è soltanto chi tende con me l’aquilone nel cielo.
Il papà è il sorriso discreto che fa finta di niente,
è l’ombra buona della grande quercia,
è la mano sicura che mi conduce nel prato
e oltre la siepe.

(L. Musacchio)

L’emergenza pandemica, inedita e gravissima, ha limitato i contatti interpersonali e lavorativi, modificando le abitudini di vita di tutti noi. 

I papà di oggi, infatti, non sono più i papà di una volta, quelli che uscivano la mattina presto per correre in ufficio e rientravano la sera tardi, ma sono padri che hanno dovuto riorganizzare la loro vita e grazie allo smart working sono stati maggiormente presenti nella vita relazionale ed affettiva dei propri figli

Sono padri che sono riusciti a conciliare famiglia e lavoro, moltiplicando il tempo trascorso con i propri figli e ciò ha permesso loro di riscoprire la valenza del rapporto. Hanno potuto condividere con loro momenti di gioco quotidiano; hanno potuto affiancarli nei percorsi di apprendimento e sostenerli nei momenti di difficoltà; si sono seduti con i figli sul divano ed hanno guardato assieme le serie preferite, hanno anche parlato di più e condiviso cose mai dette prima.

I padri grazie al lockdown hanno ritrovato i loro figli, ma anche i figli hanno ritrovato i loro padri. Questa scoperta non è una da poco: ha rivelato risorse che giacevano sotto la superficie della quotidianità e soprattutto ha trasformato il modo di intendere il ruolo paterno con conseguenze che avranno effetti nel lungo termine. I modelli paterni e la qualità delle relazioni padre-figlio tendono a essere tramandati di generazione in generazione e noi siamo e rimaniamo la generazione del Covid, per cui il rimodernamento dell’immagine dei padri non lascerà tracce soltanto nella memoria di chi l’ha vissuto, ma anche nelle generazioni future.

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