Quante volte, in tv o sui giornali, a proposito di fatti che riguardano in particolar modo aggressioni, violenze, omicidi, abbiamo sentito parlare di analisi del DNA? Si tratta di un concetto ormai noto, assorbito e, in diverse occasioni, utilizzato anche nel linguaggio comune. Ma quanti di noi sanno davvero cosa sono le analisi del DNA e in cosa consistono?
Le innovazioni tecnologiche degli ultimi anni hanno consentito agli accertamenti tecnici biologici tramite questo tipo di analisi di assumere, nell’attività investigativa, un ruolo spesso determinante. Nei reati quali omicidi, violenze sessuali, aggressioni, si può infatti confrontare l’impronta genetica del sospettato con l’impronta genetica ottenuta da tracce di materiale biologico rinvenuto sulla scena criminis.
Tutti gli organismi possono essere identificati mediante l’esame delle sequenze del DNA, che sono uniche per ogni individuo.
Per l’identificazione personale vengono attualmente esaminate 16 regioni ipervariabili del DNA (in linguaggio tecnico, short tandem repeats – STR) in diversi punti del genoma dell’individuo che, essendo diverse da persona a persona, consentono di creare un profilo di quell’individuo con possibilità estremamente ridotte che il profilo ottenuto possa appartenere a qualcun altro. In ogni caso, allo scopo di valutare con attenzione il significato di queste informazioni, ogni profilo del DNA che viene utilizzato in genetica forense, viene accompagnato da una analisi statistica che evidenzia, in base alla frequenza di popolazione di ciascun STR esaminato, quale sia la probabilità che esista un altro soggetto con lo stesso identico STR nella popolazione generale.
Le sofisticate tecniche di biologia molecolare oggi a disposizione, utilizzate per le specifiche esigenze dell’investigazione, consentono di ottenere un profilo genico anche a partire da tracce minime o degradate di materiale biologico (Low Copy Number) quali sangue, capelli, saliva, liquido seminale ed altro ancora.
Ma questo tipo di analisi non è utilizzato solo in questi casi. Ho letto qualche mese fa dell’aumento esponenziale dei test di paternità. Le analisi del DNA vengono applicate anche in questi casi. Partendo dal principio che ogni individuo eredità il proprio patrimonio genetico dai genitori, il 50% dal padre ed il 50% dalla madre, il test di paternità consiste nel confrontare le caratteristiche genetiche del figlio oggetto di indagine di paternità con quelle del presunto padre e della madre. Il padre presunto, per essere considerato padre biologico, dovrà possedere metà del profilo genetico presente nel figlio/a.
La paternità è esclusa nel caso in cui le caratteristiche genetiche del padre putativo discordino con quelle del figlio oggetto d’indagine. La paternità, invece, è attribuita qualora le caratteristiche genetiche del padre e del figlio concordino.
Il ruolo del consulente tecnico è quindi d’importanza fondamentale, sia quando è necessario per conto di un giudice che vengano eseguite queste analisi (CTU), sia per tutelare i propri interessi, qualora vi sia un contenzioso, per far sì che ogni analisi sia eseguita nel rispetto del rigore scientifico, in modo da vivere la vicenda giudiziaria più serenamente con l’ausilio del proprio consulente tecnico (CTP).
Tali consulenze, proprio per la complessità che le caratterizza, richiedono una profonda competenza sia nell’ambito giuridico sia nella specifica area biologica specialistica medico-legale. Si tratta, infatti, di consulenze estremamente delicate che il medico-legale può affrontare collegialmente con l’ausilio di colleghi biologi o medici esperti nella specifica materia del caso in esame, evitando pericolose improvvisazioni.
Una consulenza non corretta, infatti, potrà orientare erroneamente il magistrato o le parti, che molto spesso non conoscono i dettagli di materie specialistiche, e che si devono pertanto affidare al sapere di esperti della materia.
di Marina Baldi
Genetista