Ospiti: Paolo Crepet, Rudy Zerbi, Luciano Lembo, Maria Grazia Cucinotta
In occasione del 19 marzo, Festa del papà, ci interroghiamo su come è cambiato nel tempo il ruolo del padre, su come sono i papà di oggi e su quali le difficoltà possono incontrare nel rapporto con i figli e con la partner. Una puntata un po’ più al maschile del solito quella di Io le donne non le capisco, capitanata come al solito da Sonia D’Agostino, alla quale stavolta è affidato il contraltare femminile. Ospite in studio, finalmente di persona, l’attore cabarettista e poeta Luciano Lembo, in collegamento lo psichiatra e saggista Paolo Crepet e l’amico Rudy Zerbi. Immancabili i compagni di viaggio Alberto Laurenti e Giulio Violati, raggiunto sul finale dalla moglie Maria Grazia Cucinotta. Alla nostra comunità social abbiamo chiesto:
Come sono i papà di oggi? Com’è cambiato il rapporto con i figli? Sognano un figlio maschio, ma poi si sciolgono per le femmine?
La figura del padre è cambiata molto negli anni, le generazioni passate erano abituate al padre autoritario, più che autorevole, il capofamiglia che portava i soldi a casa, mentre la donna si occupava dei figli e delle faccende domestiche. Erano padri spesso severi, poco affettuosi e partecipi della vita dei figli, anche semplicemente per il fatto che passavano molto tempo fuori casa. Con i cambiamenti sociali e l’emancipazione femminile le cose sono cambiate, i papà ora sono più presenti, alcuni sono dei veri “mammi”, altri fanno gli amici dei figli. C’è chi fatica a trovare il proprio ruolo e chi soffre in seguito ad una separazione. Su questi temi s’interroga Sonia D’Agostino che chiede subito a Luciano Lembo di raccontarci le sue esperienze personali, il rapporto che aveva con suo padre e cosa gli ha detto quando gli ha rivelato di voler fare l’attore: “mio padre aveva questa grande moralità, che se io guardavo una ragazza mi diceva: fai il serio! Però con l’occhio sinistro se la guardava pure lui. Non abbiamo mai parlato del nostro essere maschi, per rispetto di mia madre, e mi dispiace di non essere stato amico di mio padre. All’inizio lavoravo nella sua profumeria, lui era contento di avermi dato questo indirizzo, ma non era il mio, non era la mia meta, dentro di me soffrivo. Dopo, nel tempo, mi ha capito e mi fece un gran complimento la prima volta che mi vide al Parioli, mi disse: tu non te morirai mai de fame!”
E il produttore cinematografico Giulio Violati che papà è? “Sono un papà innamorato di mia figlia e faccio parte di quel prototipo che desidera un figlio maschio per portarlo allo stadio, invece quando è arrivata Giulia sono stato super felice e molto più innamorato, avrei voluto solo femmine nella vita, perché le bimbe sono più affettuose e più sveglie, se li incartano tutti”. Ed ecco che arriva in diretta un messaggio della figlia di Violati, che da qualche mese sta vivendo in Canada, il papà si scioglie nella commozione.
La telefonata di un ascoltatore ci permette di affrontare un’altra sfumatura del tema, quella delle adozioni e l’attualità entra prepotentemente in campo. Sandro è il padre orgoglioso di due ragazzi di origini russe che in questo momento soffrono per il conflitto in Ucraina e stentano a capire l’attacco di Putin che considerano fratricida.
Lo psichiatra ed educatore Paolo Crepet interviene per cercare di fare chiarezza sul ruolo dei padri oggi: “Se penso a mio padre, certo che ci sono stati dei cambiamenti, io sono nato negli anni Cinquanta, è chiaro che era un’altra epoca. Mio padre era un persona squisita, ma c’era poco, nel senso che lavorava, non è che non si interessasse a me, c’è stato nei momenti importanti. Con gli anni il padre ha assunto un ruolo più importante nell’educazione dei figli, giustamente vuole avere parola sulla quotidianità dell’educazione. Mio padre non sapeva nemmeno dov’era il mio liceo, ora i padri accompagnano i bambini all’asilo, alle medie e perfino al liceo e vanno a parlare con gli insegnanti. Io non sono mai andato a parlare con gli insegnanti di mia figlia, perché ho sempre pensato che fosse intelligente e sapesse cavarsela da sola”. Tutto questo “darsi da fare” secondo lo psichiatra porta ansia a molti uomini: “dico una cosa poco popolare, i padri sono molto più psicolabili delle madri, hanno paura di tutto, vogliono due, tre consultazioni da diversi pediatri, sono molto più ansiosi, perché la madre storicamente sa cosa fare, noi uomini non sappiamo fare niente, a partire da come cambiare un pannolino, quindi abbiamo dovuto imparare tutto, anche perché donne, giustamente, lo richiedono per parità di genere. Non basta più lavare i piatti, educare è qualcosa di molto complicato. Anche in una coppia unita ci sono due opinioni, come due fazioni, c’è la parte buonista e la parte più rigida e autoritaria e queste due parti si scontrano. Quando il bambino capisce che ci sono due opinioni è la fine, perché decide lui”. “E’ importante quindi avere un’unica linea, parlare all’unisono?” Chiede la conduttrice e Crepet spiega: “ci vuole unisono sulle cose importanti, non sul grasso del prosciutto. Ad esempio, sulle diete si fanno le guerre puniche, ma poi non si parla mai del rispetto per gli altri. E’ più facile per i genitori parlare della mortadella che del rispetto”. Questo eviterebbe molti episodi di bullismo e di violenza, sottolinea Sonia D’Agostino che nota come a volte i genitori giustifichino i figli bulli. “Se tuteli un ragazzino violento” continua Crepet, “vuol dire che non hai la più pallida idea di cosa accadrà quando avrà vent’anni, perché se lo giustifichi da piccolo non lo fermi più. L’educazione è lavoro lento che ha effetti a media e lunga scadenza e deve iniziare dall’infanzia. Faccio notare che le ragazzine non sono esenti dalla violenza, anche loro girano in gruppetti a fare le bulle. Quando ti rendi conto che qualcosa non va ti devi fare una domanda: cosa sono disposto a fare per mio figlio? E se te ne accorgi troppo tardi chiediti quanto tempo passi a parlare con tuo figlio e quanto sei capace di ascoltarlo. Noi psicologi siamo l’ultima spiaggia, siamo gli ultimi a dover intervenire, anche perché non tutti i ragazzi vanno dallo psicologo e qualcuno si chiede: perché mi hanno mandato? Allora non sono normale. Noi psicologi siamo come elefanti in un negozio di cristalli”.
Sonia D’Agostino torna sul rapporto padre-figlia e chiede al professore se c’è ancora questo retaggio secondo cui l’uomo che sta per diventare papà, nella maggior parte dei casi spera di avere un maschio, per portarlo a giocare a pallone, per tramandare il cognome e così via, poi quando nasce una femmina s’instaura un rapporto, il più delle volte, di grande amore. “Io sono sempre stato convinto, fin dalla giovane età, che se avessi avuto un figlio sarebbe stato femmina, non avevo dubbi” confessa Crepet, “però non so se le parole amore, innamoramento siano giuste, usiamo le parole con una certa cautela, amore è il ragazzo che ti piace tanto, papà è un’altra cosa. Così come non siamo amici dei figli, non siamo neanche gli amanti dei figli”.
Lo psichiatra sostiene da trent’anni che i genitori non devono essere amici dei figli: “ma quale amico? Cosa c’entra, è un altro tipo di rapporto, un’altra complicità, non posso essere amico di mia figlia, è una cosa orrenda, perché io non devo entrare in certi argomenti. Vi faccio un esempio, vale per il padre come per la madre, i genitori non devono entrare più di tanto nel rapporto amoroso di un figlio o di una figlia, è pericolosissimo perché inevitabilmente giudichiamo, sono sabbie mobili. Sono argomenti che vanno affrontati con persone di pari grado, con un’amica del cuore si entra nei dettagli, ma mai e poi mai si fa una cosa del genere con mamma e papà, perché noi genitori siamo i sovrintendenti, stiamo sopra. Il papà amico non ha senso, ti dà un’idea di vicinanza e complicità che è diverso, essere amici di un figlio è troppo poco. Il mio punto di vista è più alto, io sono il capitano i figli no. Il capitano non si occupa di quante cose fa un marinaio, è un sovrintendente, sa qual è la rotta e la fa seguire. Non mi occupo dell’amore, del flirt, dell’uscita di mio figlio, per me questi dettagli sono insignificanti, ovviamente non lo sono per loro. A me interessa una cosa sola: sei felice o no?” E a volte anche la sofferenza è necessaria per crescere, afferma lo psichiatra che sottolinea anche un altro punto: “dobbiamo far capire ai bambini che non sono il centro del mondo, ci sono bambini di 7 anni che comandano i genitori, scelgono cosa mangiare, cosa guardare in televisione, dove andare in vacanza, li chiamo piccoli Buddha, con i genitori inginocchiati ai loro piedi. Se facciamo credere ai figli di essere il centro del mondo loro se ne convinceranno”.
Maria Grazia Cucinotta, in collegamento telefonico, racconta la sua esperienza di genitore: “sono io quella severa, riprendo sia mia figlia, sia mio marito, sono due bambini, ma noi non siamo fratelli né sorelle, siamo persone su cui ci si deve poter contare, qualsiasi cosa succeda. Mia figlia non deve mai pensare che non può parlare con noi, non ci devono essere tabù, ma io non sono sua sorella”.
Arriva anche il commento di Rudy Zerbi: “Non devi per forza essere amico dei tuoi figli, detto così suona un po’ brutale, però, sì, credo che sia vero”. Il conduttore e critico musicale vive in una famiglia allargata, ha tre figli nati da tre relazioni diverse, quanto è difficile per lui essere padre e com’è il rapporto con i propri figli? “E’ complicato, io ho attuato una strategia. Come quando hai un cagnolino e prendi anche un gatto, o li tieni separati per sempre, oppure li prendi li chiudi insieme in una stanza per dieci minuti e dici: fate voi! Io ho sempre fatto stare i miei figli tutti insieme, dal più grande di 22 anni, al più piccolo di 7, siamo una grande tribù. Ormai loro sono indipendenti, stanno insieme, giocano insieme, vivono insieme, il più grande fa da papà al più piccolo, il medio fa da papà al terzo, parlano lo stesso linguaggio, guardano gli stessi video, fanno le stesse cose. Li ho sempre tenuti insieme, fin dal primo giorno e questo mi ha aiutato. Io non sono un grande modello come papà, sono molto più bravi loro ad aver imparato che siamo una grande famiglia e ci vogliamo tutti molto bene”. Rudy Zerbi che tipo di papà è? Autoritario, educatore? Come si definisce? “Sono cambiato nel corso degli anni. Credo che non si possa essere lo stesso papà a trent’anni o a cinquant’anni, si cambia no? Sono stato autoritario, sono stato spero autorevole, adesso sono una mammoletta proprio, mi fanno su così in un secondo!”
Maria Grazia Cucinotta ci regala un ricordo di suo padre: “c’erano quasi cinquant’anni di differenza tra me e lui, quindi è stato un padre molto molto severo, ma era anche per l’età che aveva. Lui è cresciuto senza padre, suo padre è morto quando era molto giovane, per cui si è ritrovato a seguire quelle che erano le regole di casa sua, essere autoritari, il padre era quello che comandava, non si dialogava molto perché era anche molto chiuso. Però ho imparato ad amarlo con il tempo, perché quando sei figlia vuoi essere capita e tendi a non capire, sei molto più egoista, dopo, crescendo, si capisce. Poi io sono andata via molto presto, quindi ho capito l’importanza di essere figli, la responsabilità, sai che nessuno ti dice quello che devi fare, la vita dipende da te e questo può fare paura. Mio padre sembrava una persona che non esprimesse amore, invece era solo troppo timido, non aveva questo coraggio di amare, io poi l’ho amato alla follia. Quando è morto c’ero solo io ed è stato bello così perché ci siamo detti tutto. Io mi sono innamorata di Giulio perché al contrario è un uomo che non ha paura delle coccole, di amare di mostrare anche le debolezze e secondo me è anche giusto così”.
Vi lasciamo con la consueta perla poetica di Luciano Lembo: Un Papà dei nostri giorni