Home Le nostre rubricheIl diario di Sonia L’ansia da prestazione spinge a fare meglio o ci blocca? Rispondono tre grandi artisti: Iva Zanicchi, Remo Pannain e Mariano Rigillo.

L’ansia da prestazione spinge a fare meglio o ci blocca? Rispondono tre grandi artisti: Iva Zanicchi, Remo Pannain e Mariano Rigillo.

di Prisca Civitenga

Ospiti: Iva Zanicchi, Remo Pannain, Mariano Rigillo

Siamo quasi alla vigilia del Festival di Sanremo, tutti gli artisti che si sono esibiti al Teatro Ariston raccontano che quello è un palco spaventoso che fa venire la tremarella, da questo abbiamo preso spunto per parlare della famosa “ansia da prestazione” e alla nostra comunità web abbiamo chiesto:

Ansia da prestazione: la chiave del successo? Voler essere vincenti, giocarsi il tutto per tutto, nel lavoro come in qualsiasi altra cosa, mette sotto stress. Secondo te l’ansia da prestazione sprona a fare meglio oppure rischia di bloccarci del tutto?

Per parlarne abbiamo invitato tre straordinari artisti, molto diversi tra loro: la cantante Iva Zanicchi, l’avvocato e prestigiatore Remo Pannain e l’attore di teatro, cinema e tv Mariano Rigillo. A condurre il salotto del sabato Io le donne non le capisco, come di consueto, Sonia D’Agostino, insieme agli inseparabili Loredana Petrone, Alberto Laurenti e Giulio Violati.

 

 

A rompere il ghiaccio un’amica, già ospite diverse volte in trasmissione, Iva Zanicchi, una ragazzina di 82 anni, una bellissima donna con uno spirito giovane, non giovanile, sottolinea Sonia D’Agostino, che alla sua età trova ancora la voglia di mettersi in gioco e di partecipare in gara al Festival di Sanremo. E’ un esempio per tutti noi e soprattutto per chi arrivato ad una certa età pensa che la vita sia giunta al capolinea. “ La vita è meravigliosa” esordisce la cantante, “bisogna viverla attimo per attimo, lo so è difficile ci sono i momenti bui, i momenti tristi, ma poi si rinasce, e bisogna amare! Ecco qual è il segreto secondo me, amare, amare, amare! Amare tutto, la musica, l’arte, amare le persone, io vado al mercato, mi fermo, parlo con tutti e loro parlano con me, mi danno tanto, questo è vivere!” Poi bisogna amare il nostro corpo, aggiunge l’artista: “certo non hai più il corpo dei 30 anni, ma per me ricorrere alle plastiche è una cosa tristissima. E’ un processo naturale ed è giusto. Io mi piaccio, magari mi guardo allo specchio e vedo un po’ di pancia, ma va bene, poi ho la fortuna di avere le gambe giovani, allora mi guardo solo le gambe e sono contenta!”. A proposito di gambe la conduttrice riporta una notizia letta sui giornali, quella che Iva Zanicchi avrebbe voluto per Sanremo un outfit in minigonna, ma la figlia si sarebbe opposta. “Si l’ho detto, ma era una battuta!” Chiarisce la cantante: “mia figlia ci ha creduto e mi ha detto ti lego in casa. Ma ti pare che io a ottant’anni vado in giro in minigonna? No, avrò un look molto sobrio, come piace a mia figlia, a Sanremo devi andare il più elegante possibile, per rispetto di questa grande manifestazione e per il pubblico che ti guarda”. La canzone che porta in gara Voglio amarti ha già fatto parlare di sé, qualcuno l’ha definita “a luci rosse”, perché celebra l’amore, anche quello carnale. “Non è vero, non è a luci rosse, è una definizione anche un po’ cattiva”, afferma Iva Zanicchi: “non è giusto nei confronti di chi ha scritto il testo, un professore d’italiano, un poeta (Emilio Di Stefano N.d.R.) che non parla di erotismo, ma di amore a tutto tondo. Vi cito il ritornello: Voglio amarti nei pensieri, nelle mani, voglio amarti con l’anima e di più. Voglio amarti nelle braccia, nel calore della pelle, del tuo viso su di me. Cosa c’è di tanto proibito ed erotico?” Nulla diremmo noi , ma si sa, a certa stampa piace giocare e spettegolare, hanno cavalcato il fatto che una donna di 82 anni parlasse di amore e magari di sesso. “Il sesso ci vuole, è naturale, ci mancherebbe, siamo fatti per questo, ma non dite che la mia canzone parla di sesso che mi offendo!” Chiosa la cantante che confessa di amare il corteggiamento, soprattutto all’interno della coppia: “Mio marito mi dice che al mattino sono bellissima quando mi sveglio, non è vero, è un bugiardo, ma a me fa bene sentirlo, mi piacciono i complimenti e anche un pizzico di gelosia mi gratifica”. Uomini non dimenticate di fare i complimenti alle vostre compagne!

Riguardo al tema della puntata, l’ansia da prestazione, Sonia D’Agostino chiede se il palco di Sanremo è davvero così spaventoso e Iva Zanicchi conferma: “sì è vero, ma sai, il terrore, l’ansia la paura sono come il Corona Virus, se non ti difendi ti attacca. Negli anni passati eravamo tutti insieme dietro le quinte e ci attaccavamo l’ansia a vicenda, ora per fortuna dobbiamo stare tutti distanziati. Il fatto è che a Sanremo hai solo tre minuti e in quei tre minuti devi dare tutto quello che hai, devi far capire cosa dice la canzone, devi cantar bene e interpretare nel modo migliore possibile. Non è facile, mica è scontato. Ti presenti davanti a milioni di persone, se la canzone piacerà, domani la canteranno tutti, se non piacerà, cadrà nel dimenticatoio, per cui l’ansia cresce sale. Però a me succede questo, prima muoio, mi chiedo chi me l’ha fatto fare, non potevo restare a casa e così via, poi quando metto piede sul palcoscenico succede il miracolo, di colpo divento elettrica i sensi si amplificano, provo un’altra emozione, il desiderio e la voglia di cantare”.

Quanto è scaramantica Iva Zanicchi? Ha degli amuleti o dei gesti da fare prima di salire sul palco? “Sono piena! Unisco sacro al profano, ho la mia immaginetta di Padre Pio, una madonnina, mi faccio sempre il segno della croce prima di entrare, poi ho nascosto sempre un po’ di sale grosso. Adesso mi hanno regalato una pietra che porterò, è un po’ grande cercherò di metterla da qualche parte. Sono molto superstiziosa, nel portafoglio ho un cornetto, vicino sempre un panino di San Rocco, ho tutte queste cose, andrò all’inferno solo per questo, ma Dio mi perdonerà!” Conclude ridendo la vulcanica Iva Zanicchi, a Sanremo faremo il tifo per lei!

 

 

Il secondo ospite è un personaggio molto particolare, Remo Pannain, affermato avvocato penalista e prestigiatore, ideatore di Supermagic, il Festival Internazionale della Magia che in questi giorni è in scena al Teatro Olimpico di Roma. Pannain viene da una famosa famiglia di avvocati e ha continuato la tradizione di famiglia, coltivando parallelamente la sua grande passione per la magia. Una passione nata da bambino, ci racconta, quando per la prima volta vide Silvan in tv, da piccolissimo ha iniziato ad imparare i trucchi del mestiere, arrivando poi ad esibirsi su numerosi palcoscenici e a vincere diversi riconoscimenti. Contemporaneamente ha continuato a studiare giurisprudenza, è diventato ufficiale dei Carabinieri e infine avvocato: “con mio padre avevamo un patto” – racconta Pannain – “dovevo dare l’esame da procuratore, che era molto difficile, e gli dissi “se non lo passo vado in America a fare il prestigiatore”. Passai l’esame e quindi sono diventato avvocato”. La passione per la magia però non l’ha mai abbandonata e il suo festival Supermagic quest’anno compie 18 anni.

Stuzzicato da Sonia D’Agostino Remo Pannain prova a fare un parallelismo tra la professione di avvocato e quella di prestigiatore, ci sono diversi punti in comune: “Intanto in entrambi i casi è importante studiare, un giovane che si avvicina alla magia deve leggere molti libri, spesso in inglese e l’avvocato deve studiare diritto. Poi c’è il contesto sociale. I giochi di prestigio si fanno in società, e c’è un tempo per fare il gioco di prestigio, bisogna capire qual è il momento giusto nella conversazione. Per l’avvocato, oltre alla teoria, c’è il processo e anche qui bisogna capire i momenti giusti degli interventi. In entrambi i casi devi essere abituato a parlare in pubblico e a coordinare l’attenzione dell’ascoltatore. La gestione del controllo dello spettatore sul palco è molto simile al controinterrogatorio del testimone”.

Veniamo all’ansia da prestazione, Remo Pannain dichiara di non soffrirne: “un po’ di tensione prima di iniziare c’è, ma finisce lì, non ho mai avuto l’ansia da prestazione, per due motivi secondo me. Il primo è perché sono preparato, oltre ad aver studiato, so anche cosa fare se una cosa non va bene. Il prestigiatore ha una regola che impara subito non devi mai dire quello che stai per fare, perché se quella cosa per qualche motivo non riesce, almeno ne fai un’altra e la gente non saprà mai che hai sbagliato, quindi questo taglia la testa all’ansia da prestazione. Poi ho fatto anche un lungo percorso di crescita personale con la meditazione e quindi tanta ansia non l’ho mai avuta”.

Sull’argomento fa chiarezza la psicologa Loredana Petrone: “dipende dalla connotazione che si dà all’ansia che può essere adattiva o disfunzionale. C’è l’ansia positiva che è quella che ti porta a raggiungere un obiettivo o il tuo desiderio, un momento di tensione prima di salire sul palco ad esempio. L’ansia diventa disadattiva quando non ti permette di raggiungere il tuo obiettivo, ad esempio non ce la faccio a parlare in pubblico nonostante sia propositivo e mi impegni. Sicuramente un percorso di consapevolezza personale aiuta e aiuta l’esperienza. E’ una dimensione soggettiva. Il vortice è creato dai nostri pensieri, dalle nostre paure, dal fatto che ci incastriamo in cosa pensa l’altro, sono adeguato o non sono adeguato, dico la cosa giusta e così via. E’ la nostra mente, che non a caso ha questo nome perché mente, ci incastra in circuiti che sono menzogneri”.

 

 

L’ansia da prestazione è sicuramente presente a teatro, il terzo ospite è un veterano dei palcoscenici, Mariano Rigillo, attore di teatro, cinema e televisione, nonché doppiatore. Rigillo a 82 anni ama ancora mettersi in gioco, in questi giorni è in scena alla Sala Umberto di Roma in E non rimase nessuno… (Dieci piccoli indiani) il capolavoro di Agatha Christie: “E’ il primo giallo classico del mio percorso artistico e la cosa mi diverte molto”, racconta l’attore che ha messo in piedi una sorta di famiglia teatrale allargata: “ recito quasi sempre con la mia compagna (Anna Teresa Rossini N.d.R.), con il mio figliolo Ruben, che fa anche l’attore, e con la figliola della mia compagna, Silvia Siravo, attrice anche lei, questo è il quartetto della famiglia teatrale allargata, diciamo così. Il nostro più grande successo è stato Erano tutti miei figli di Arthur Miller, pensiamo ogni stagione di riprenderlo, ma poi le stagioni teatrali sono sempre più complicate. Per le compagnie private non c’è mai attenzione nel teatro italiano, è una cosa molto dolorosa”. Con Mariano Rigillo c’è modo di ricordare gli sceneggiati di successo della televisione degli anni Settanta e la figura di Giuseppe Patroni Griffi, un incontro artistico e di vita fondamentale per l’attore: “è stato un grande sodalizio artistico quello tra me e Peppino iniziato nel lontano 1967. L’anno prima era venuto a vedere un mio spettacolo ad Ostia Antica e passando fugacemente davanti al mio camerino mi disse “noi lavoreremo insieme”, e così è stato, abbiamo avuto un grande, bello e fruttuoso sodalizio artistico andato avanti fino a quasi la sua morte. Per me scrisse una commedia Persone naturali e strafottenti in cui recitavo con Pupella Maggio, Gabriele Lavia e un attore americano di colore Arnold Wilkerson. Il personaggio era Maria Callàs, un travestito che nel 1974 non era usuale vedere in scena, la commedia ebbe un grande successo anche per la sua spinta provocatrice come fatto culturale ed io personalmente ne trassi un gran bel riconoscimento.” Tante domande vorremmo fare a mariano Rigillo, ma il tempo è tiranno e l’attore promette di tornare come ospite!

Come di consueto vi lasciamo una nota poetica, firmata dal nostro amico, comico e cabarettista Luciano Lembo Vincente ad ogni costo.

 

 

 

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