Ospiti: Rita Dalla Chiesa, Arianna Porcelli Safonov, Rudy Zerbi
Siamo nella settimana del Festival di Sanremo, la manifestazione canora che ogni anno catalizza l’attenzione degli italiani e non solo, al centro la musica, ma anche il look degli artisti, apprezzati, criticati e soprattutto commentati da tutti. Da qui il pretesto per parlare dell’importanza o meno dell’apparenza. Alla nostra comunità social abbiamo chiesto:
Secondo voi l’abito fa il monaco? Il modo in cui decidiamo di vestirci è solo una questione di apparenza oppure serve ad esprimere noi stessi? L’aspetto esteriore quanto condiziona la prima impressione nei confronti degli altri?
Ospiti di Io le donne non le capisco, il salotto del sabato condotto da Sonia d’Agostino, due affezionati amici della trasmissione, Rita Dalla Chiesa e Rudy Zerbi, insieme a loro una new entry, Arianna Porcelli Safonov, autrice e performer dalla satira intelligente e irriverente. Immancabili come di consueto i compagni di viaggio Alberto Laurenti, Loredana Petrone e Giulio Violati.
Introducendo il tema Sonia D’Agostino fa subito chiarezza: “il modo di vestire non è una questione economica. Io ho una delle mie più care amiche che ha un’eleganza innata e veste in una maniera strepitosa comprando ai mercatini dell’usato, è una questione di stile”. La prima impressione però sembra essere ancora quella che conta spiega la psicologa Loredana Petrone: “mia nonna usava quest’espressione: l’abito non solo fa il monaco ma fa anche il prete”. Nel senso che gli studi di psicologia sociale confermano come la prima impressione sia determinante nel formare l’ idea che si acquisisce su una persona, e, tra l’altro, nonostante si venga a sapere che una persona è totalmente diversa rispetto all’imprinting iniziale, è molto difficile cambiare quell’opinione che si è venuta a costituire. Ci sono una miriade di studi ed esperimenti sull’argomento che mostrano, ad esempio, come a uomini con barba e occhiali vengano attribuite delle potenzialità maggiori, vengono riconosciuti come intellettuali. Questo per dire che noi, in ogni caso, abbiamo dei pre-giudizi, quindi abbiamo un’acquisizione che prescinde dall’esperienza reale e che ci condiziona nella decodifica della vita quotidiana”.
Il modo di vestire serve anche ad esprimere la nostra personalità, commenta in studio Rita Dalla Chiesa: “se doveste giudicarmi da come sono arrivata qui oggi vedreste esattamente come sono, col maglione e con i jeans, così come vivo la mia vita, in modo totalmente semplice. Immagino che altre arriverebbero in radio con il tacco 15, anche se non vengono viste”. La conduttrice sottolinea come alcune persone vestite magari in jeans e maglietta abbiano una tale personalità, un modo di muoversi e di parlare, uno sguardo che colpisce, che ti fanno dimenticare il vestito, anzi un look semplice diventa un valore aggiunto. “Questo accade quando stai bene con te stesso e non hai bisogno di orpelli”, afferma Rita Dalla Chiesa: “quando sei sicuro di te stesso, quando sai di non dover dimostrare niente a nessuno, ma soprattutto a te stesso perché sei risolto, allora non c’è più la ricerca del come sto, cosa mi metto, come posso fare colpo sugli altri, cosa possono pensare di me… tu sei tu, ti vesti come ti pare e la gente, dalle cose che dici, da come ti rapporti con loro, capisce che persona sei, non c’è bisogno dell’abito”. E’ d’accordo la seconda ospite Arianna Porcelli Safonov, autrice satirica nata e cresciuta a Roma nord, che ha deciso di lasciare la capitale proprio per le sue contraddizioni: “parliamo di quando l’abito fa il monaco? A Roma nord è proprio così!”. Le fa eco Rita Dalla Chiesa che va vent’anni abita a Roma nord e rimpiange Monteverde: “a Roma nord tutto è strafirmato, tutto è esagerato, la gente non capisce che forse è meglio avere un dialogo e uno scambio di opinioni anche se non sei tirata a lucido alle 8 di mattina. Magari ti incontri al bar col cappottone e con la tuta, ti prendi un caffè e chiacchieri, lì no, non si può fare. Basta andare davanti alle scuole e guardare le mamme che accompagnano i bambini indossando già i tacchi”.
Arianna Porcelli Safonov ha lasciato la capitale nel 2010 e dopo tre anni a Madrid ha deciso di non farci ritorno e ha preso una decisione drastica, vivere in campagna: “stanca all’idea di rientrare a Roma, ho preferito andare in un borgo sull’Appennino tra Piemonte e Liguria, dove eravamo solo in 12, già troppi per i miei canoni, e dove la qualità della vita è impossibile sognarla in qualsiasi altra grande o piccola città. Proprio l’assenza dei benefit che può offrire una città, a mio modo di vedere le cose, è il vero valore di questa scelta”. Autrice umoristica, Arianna Porcelli Safonov per i suoi lavori, spettacoli teatrali, libri e pillole web, prende spunto dalle mode, dai costumi, dalle idiosincrasie e dalle assurdità della nostra società: “in questo momento per chi vuole fare satira la società è il motore vero che manda avanti il nostro lavoro, c’è talmente tanto disagio che è un piacere analizzarlo. L’unica cosa è che non si hanno più gli strumenti di lettura di questo disagio. Questo riguarda anche i vestiti, quanti status symbol esistono oggi per cui ti devi comprare quella determinata maglietta, quelle determinate scarpe, per voler dire che sei benestante, che sei cool? Questi anziché essere elementi di disagio, oggi purtroppo vengono letti come elementi di benessere. Il benessere e il disagio si avvicinano sempre di più”. Questi falsi status symbol, insieme alle nevrosi della vita quotidiana, vengono portati sul palco dalla performer che sarà in scena a Roma, al Teatro De’ Servi, dall’8 all’11 febbraio con il suo “Rìding tristocomico alla seconda”.
Sonia D’Agostino lancia una provocazione: vi fidereste di un medico con piercing, tatuaggi o capelli colorati? “Assolutamente sì”, risponde Rita Dalla Chiesa, “ un medico stropicciato ma bravo, che capisce chi ha di fronte e come curarlo, vale molto più di un camice stirato”. Concorda Loredana Petrone: “bisogna liberarsi da una serie di pregiudizi, la professionalità prescinde dall’abito. Io ricordo un viaggio a Londra di tanti anni fa, quando andavano di moda le creste, in banca c’era un cassiere con la cresta verde. Con mio marito siamo rimasti stupiti e ci siamo accorti quando noi fossimo legati agli stereotipi”.
Tra una battuta di Giulio Violati e una canzone di Alberto Laurenti c’è spazio anche per parlare del Festival di Sanremo con l’ausilio del terzo ospite e nostro grande amico Rudy Zerbi: “è un Sanremo di grande successo che sta unendo tutti. E’ bellissimo quando c’è qualcosa che unisce le famiglie, si sta insieme e si parla di musica, tra chi segue Morandi e chi invece Blanco. Ed è bello vedere anche nei cantanti la gioia, l’emozione, la voglia di tornare sul palco davanti a tanta gente per potersi di nuovo esprimere”. “C’è un senso di liberazione” aggiunge Rita Dalla Chiesa. “mi fa pensare a quello che devono aver passato alla fine della guerra con l’arrivo degli americani, c’è gioia di vivere, il teatro si è liberato dalla pesantezza di questi due anni. E gli artisti sembrano non avere pregiudizi, scelgono se scendere lo scalone, si presentano in canottiera, possono fare a meno di qualunque orpello se vogliono e sono loro stessi e vengono accolti da Amadeus in tutti i sensi”.
Ognuno degli ospiti esprime le proprie opinioni sui cantanti in gara e Sonia D’Agostino punta i riflettori su Drusilla Foer, sottolineando la sua eleganza, il portamento, la signorilità, l’intelligenza e l’ironia. Il personaggio della nobildonna sagace interpretato dal geniale Gianluca Gori ha stregato il palco dell’Ariston e gli spettatori a casa e Rudy Zerbi confessa, con un pizzico d’orgoglio, di essere stato il primo ad intervistare Drusilla Foer in radio, cinque anni fa. Il monologo di Drusilla sull’unicità delle persone ha toccato tutti, “ce lo dobbiamo stampare in faccia”, commenta Rita Dalla Chiesa. Ed è vero, vale la pena andarselo a riascoltare, perché ogni persona è unica, ed ha un valore che va al di là dell’aspetto fisico e dell’abito che indossa.
Come di consueto la nostra ciliegina sulla torta, la poesia di Luciano Lembo dedicata al tema di Io le donne non le capisco: “L’abito e il monaco”.