Home Lei e lui Quando il bene fatto non torna indietro: la “Sindrome rancorosa del beneficato”

Quando il bene fatto non torna indietro: la “Sindrome rancorosa del beneficato”

di Loredana Petrone

 

Dagli affetti ho ricevuto molto, ho ricevuto e dato, scambiato. Però ho ricevuto anche molta ingratitudine che mi ha lasciata stupefatta… Ricordo un’allieva cui avevo dato grande spazio e che avevo favorito spontaneamente, afflitta da un’invidia nei miei confronti e da un malessere talmente grandi da non riconoscermi e non riconoscersi. Questa invidia è stata talmente grande che mi ha dato un insegnamento: non fidarsi incondizionatamente di persone che non sono all’altezza, che di punto in bianco vorrebbero trovarsi a livelli che io ho raggiunto con fatica e soprattutto senza compromessi. È giusto condividere con persone di pari grado le proprie conquiste, sostenere e favorire gli altri è un atto di civiltà, ma con limiti ben precisi.” (Maria Rita Parsi)

Sarà capitato anche a voi, di avere la pungente delusione da chi, in precedenza, era stato proprio da voi aiutato. Non con la semplice ingratitudine, che è banalmente umana e diffusissima, ma con qualcosa di più, di diverso e di inaspettato. Persone che lanciano disgustose polpette di fango, quando, invece, dovrebbero solo innaffiare di champagne il prossimo, grazie a cui, di fatto, hanno avuto opportunità, ma essendo affette da una grande invidia e rabbia passano dall’opportunità all’opportunismo, dall’ingratitudine alla viscida denigrazione.

Cosa accade nella mente del beneficato?

E’ proprio l’ingratitudine e il rancore che colpisce chi ha ricevuto un beneficio, visto che tale condizione lo pone in “debito di riconoscenza” nei confronti del suo benefattore.

Tale difficoltà psicologica ed esistenziale è stata ben descritta dalla amica e collega Maria Rita Parsi nel suo saggio “Ingrati”, definendola “Sindrome rancorosa del beneficato”.

“Accettare di essere stati beneficati” costituisce una tappa di fondamentale importanza per accedere al sentimento della “sincera gratitudine”, intesa come riconoscimento dell’altro e come successiva possibilità di riconoscere se stessi, ovvero “riconoscersi come persone grate, con le proprie caratteristiche, qualità, limiti”.

La sindrome rancorosa del beneficato è, invece, un sordo ed ingiustificato rancore. Il rancore, in tal caso, diventa paragonabile ad una autentica malattia che affligge chi ha ricevuto un beneficio, poiché si trova in un evidente “debito di riconoscenza” nei confronti del suo benefattore.

Il beneficio che “dovrebbe” spontaneamente riconoscere, non riesce ad accettare di averlo ricevuto, tanto da arrivare a dimenticarlo, a negarlo, a sminuirlo o, addirittura, a trasformarlo in un peso dal quale liberarsi, trasformando il proprio benefattore in una persona da allontanare, da dimenticare se non, addirittura, da penalizzare e calunniare.

Questa è una reazione che molte persone sviluppano, dopo aver ricevuto dei benefici di varia natura: professionali, economici, affettivi, di sostegno in momenti di grave difficoltà. Benefici che li hanno messi in una condizione di ”dipendenza”, per cui sperimentano un rifiuto per il loro benefattore, facendo prevalere il bisogno di dire: “io non devo niente a nessuno”.

Nel beneficato scatta un meccanismo di invidia per il potere del benefattore, un senso di inferiorità per aver dovuto chiedere, per questo motivo nel beneficato nasce un disagio profondo che lo porta a cancellare il proprio benefattore, che con il suo intervento può testimoniare la fragilità del beneficato.

Cos’è la Sindrome Rancorosa del Beneficato?

Questa sindrome è una malattia dell’anima ed ha a che fare con l’invidia primaria, che rappresenta quel sentimento di rabbia in quanto un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo. L’impulso invidioso mira a portare via o a danneggiare ciò che non si possiede. Inoltre, l’invidia implica un rapporto con una sola persona ed è riconducibile al primo esclusivo rapporto con la madre. L’invidia cerca non solo di derubare la madre, ma anche di mettere le parti cattive del Sé nella madre allo scopo di danneggiarla e di distruggerla. La stessa arcaica invidia e rabbia la si prova quando si riceve aiuto, collaborazione ed appoggio. Il benefattore viene percepito come talmente potente da generare nel beneficato confusione, promiscuità ed invidia. Il beneficato teme che il benefattore possa sopraffarlo e per tal motivo si protegge cercando di annientarlo.

Cosa fare?

Non bisogna smettere di essere generosi, ma non bisogna essere prodighi. È giusto sostenere e favorire gli altri, ma con limiti ben precisi e mettendo delle regole.

 

 

 

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2 Commenti

Cinzia 14 Maggio 2021 - 8:55

Senza giustificarle, a mio avviso sono persone immature, bambine arrabbiate, povere e piccole dentro. Questo non accade solo alle donne ma anche agli uomini. (Io preferisco definirli femmine e maschi). Però la colpa è anche nostra che abbiamo detto troppi sì. Il troppo storpia sempre, ma lo impariamo sempre dopo aver ricevuto varie bastonate. Mi perdono però, perché altrimenti la ferita non guarisce.

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Isotta 3 Giugno 2021 - 17:04

Io mi sono ritrovata in questa situazione. Provoca dolore e rabbia. Dolore perché la persona che mi ha riservato questo trattamento mi era molto cara, quasi una figlia. Rabbia perché ci si sente vittime di un’ingiustizia. Questa persona ha ricevuto da me (e da mio marito), ciò che non aveva ricevuto neanche dalla sua famiglia: affetto infinito, lealtà, coccole, sollecitudine, premura, allegria, serenità, sicurezza, opportunità, ma anche aiuto materiale e non pochi capricci. Non solo sono stata ricambiata da una costante e malcelata ostilità, che ho sopportato nella speranza (vana, ora lo so) che potesse svanire ma al primo no (provocato dalla sua tendenza patologica alla bugia come modus operandi), sono stata messa al bando, dimenticata, cancellata e chi si è visto, si è visto. In realtà sono cosciente del fatto che è proprio meglio che questa persona sia sparita dalla mia vita, ma credo che aspetterò per sempre uno “Scusa” e un “Grazie”.

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