“Si deve adottare un criterio composito” che tenga conto “delle rispettive condizioni economico-patrimoniali” e “dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge” così si è pronunciata la cassazione sui requisiti per fissare l’assegno di divorzio. La redazione di “Io le Donne non le capisco” cerca di fare chiarezza lasciando la parola al Presidente degli avvocati matrimonialisti Gian Ettore Gassani”.
La Cassazione a sezioni unite ha emesso una sentenza che finalmente mette d’accordo tutti gli addetti ai lavori. La sentenza Grilli del 10 maggio 2017 aveva rappresentato una sorta di rivoluzione copernicana per il diritto di famiglia perché aveva letteralmente spazzato via il criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per quantificare l’assegno di divorzio, stornando di fatto il principio secondo cui il coniuge autosufficiente dal punto di vista economico non avesse diritto all’assegno di divorzio a prescindere dalla durata del matrimonio e dal contributo offerto nell’ambito della vita coniugale. Pertanto era possibile ottenere un assegno soltanto in situazioni di assoluta insufficienza economica o per l’età avanzata quindi per inabilità al lavoro. Questa nuova sentenza della Cassazione mette ordine e sancisce il principio secondo cui ogni divorzio va giudicato caso per caso: ad esempio non si può trattare un matrimonio mordi e fuggi alla stregua di uno di lungo corso, quindi con una durata di almeno 15-20. Una scelta opportuna soprattutto se si considera che il 20% delle separazioni in Italia riguarda gli over65. Questa sentenza però non sconfessa del tutto i principi della precedente (Grilli) ma li aggiusta: stabilisce per esempio che tra i criteri per stabilire l’assegno la durata è importante come la prova del contributo offerto dal coniuge più debole per la crescita umana, sociale e professionale di quello più ricco. Questo per sottolineare che evidentemente il lavoro domestico o comunque il contribuito dato dall’uno all’altro non può essere quantificato in termini economici. E’ dunque chiaro che ad una certa età, anche se si è autosufficienti a livello economico, il Giudice deve premiare questo atteggiamento di vicinanza, collaborazione e condivisione con un assegno perequativo o compensativo. Ciò non significa ripescare il tenore di vita ma dare un “riconoscimento” di un impegno, che non sarà più a cinque o sei zeri ma certamente avrà un significato profondo. Per le coppie giovani che hanno uno stipendio simile e magari sposate da poco tempo l’assegno di divorzio è da negarsi. La nuova sentenza dunque non spazza via il criterio dell’autosufficienza economica. Noi matrimonialisti siamo molto contenti di questa sentenza che finalmente consente all’Italia di adeguarsi agli standard europei. Gli assegni di divorzio vanno concessi solo quando ricorrono i presupposti senza che ci siano rendite parassitarie. Sarebbe infine importante ragionare sull’introduzione dei patti pre matrimoniali: in questo caso si potrebbero confezionare accordi evitando così l’ingolfamento dei tribunali per le cause di divorzio e stabilire prima le regole del gioco di un matrimonio.