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Sanremo, il pass e i super poteri

A Sanremo è come stare sulla Luna: pesi meno. E ti senti anche alta.
Potere del pass.
E ora vi spiego perché.
Ci siamo. Mancano pochi minuti alla prova generale, la prova regina. Chi c’è, c’è e il resto è noia, tanto per dirla alla Califano. E già!
Qua il filo diretto con l’aldilà è costante. Perché noi italiani siamo così, eterni nostalgici: siamo quelli del “prima era tutto meglio” e dell’ “io già c’ero e tu no”.
Siamo quelli che hanno lanciato monetine sulla prima Repubblica e che oggi rimpiangono Craxi e Andreotti, perché “loro sì che erano statisti”.
A Sanremo gli staff fichi sono quelli che sono passati da qui con Rino Gaetano, Modugno, Nilla Pizzi.
Per fortuna io sono della scuderia Carrisi e me la cavo: penso al mio collega che segue una nuova proposta e che non avrà neanche il pass per entrare in città, lui attende direttamente al casello i risultati.

Al Bano, backstage

Al Bano, backstage

Ah, il pass.
Perché qua senza pass non sei nessuno.
Semplicemente, non esisti. Nemmeno puoi andare a colazione in albergo, la città è letteralmente divisa in chi sbatacchia il pass su tette bene in mostra o peggio panzette da birra (addominali pochi e tutti sulle nuove proposte) e chi è senza pass.
Essere senza pass a Sanremo significa sentirsi come un trentenne senza la patente, come una donna senza il correttore per le occhiaie, come un piccione senza una fava.
Ma, sia chiaro, mica basta un pass qualsiasi.
Qua si tratta di vera e propria piramide sociale. Patrizi e Plebei, schiavi e faraoni, sudditi e regnanti.
Io, che ho il pass dei pass,sono sull’Olimpo. E, più precisamente, ho accesso a: sala stampa, green zone, camerini, tetro e backstage, palco. Bingo, Strike, Burraco, Tombola, Canasta.
Sono top e sopra di me ci sono solo Carlo Conti e Maria De Filippi, unici ammessi a girare senza pass.
Questo vuol dire che mi sorridono tutti, mi pagano il caffè, mi cedono l’ingresso e fanno pure finta che io sia figa perché quando hai un pass così la taglia 44 può sembrare una 42 e il tuo metro e cinquantanove sembra quasi toccare i 165 cm senza tacchi!
Sono invitata ai party più esclusivi in automatico, da data base. Mi danno del tu i cantanti e pure i giornalisti più temuti in preda a convulse dirette come se il primo uomo stesse per lanciarsi fuori dall’orbita terrestre.
Mi aggiro per il teatro Ariston, che è poco più grande di un cinema di paese, pur sembrando mastodontico in TV, porto il pass, quel pass lì full optional, con la nonchalance di chi porta una collana della Coin, ed ecco che arriva il malcapitato della security.
Le luci sono basse e ha la disgrazia di chiedermi, chinandosi verso il mio metro e cinquantanove, che tipo di pass ho.
Fatal error! Domanda sbagliata. Il mio pass fa pure caffè e sigaretta all’occorrenza, è la chiave per il paradiso. E mi parte quel delirio di onnipotenza che provo solo quando arriva il tipo sul treno e mi dice “scusi ma lei ha il 3D?” e io sono certa di avere il treddi me lo sono tatuato sul braccio e nel cuore e gli mostro il biglietto e gli faccio il dito medio nel pensiero e lui… ha sbagliato carrozza.
Si, ha sbagliato carrozza come il signor Big Jim ha sbagliato sfigata, stavolta non sono io!
Questo è Sanremo, una scarica di adrenalina, per nulla in fondo. Fino a febbraio e dopo febbraio Sanremo non esiste. Cancellano pure la città, smontano le fontane della piazze, spengono le luci, ti levano i pass e puff… il nulla. Poi arriva febbraio e la taranta si riattiva, riparte, urticante come una medusa, ti sale la smania, tu ci devi essere, tu ci devi andare.
Se il prossimo anno non ho Albano che partecipa giuro che vi scriverò da un convento tibetano dove trascorrerò il mese di febbraio 2018, perché io dal divano di casa mia e senza il mio pass con i super poteri non potrei sopravvivere.

Paola Picilli D’Alessandro
Giornalista

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