Ha inaugurato la nuova stagione di “Io le donne non le capisco”, ora la ritroviamo in qualità di super ospite durante la prima serata di Sanremo 2019. Stiamo parlando di Giorgia, una delle voci più belle del panorama musicale, italiano e internazionale. Ma le sorprese non sono finite, infatti, sabato 9 febbraio in studio avremo il piacere di avere il suo papà – Giulio Todrani – il volto del blues romano, che le ha fatto fatto fare una bella gavetta e ha avuto il merito di trasmetterle l’amore per la musica. In attesa della sua esibizione durante la kermesse canora più importante d’Italia, vi riproponiamo la sua intervista, in cui ha condiviso frammenti della sua vita, privata e professionale. E ha annunciato il suo ultimo lavoro, “Pop Heart”, un’antologia di cover di classici del pop. L’album è uscito il 16 novembre 2018.
Se una mattina ti svegliassi nel corpo di un uomo, qual è la prima cosa che faresti?
Qualche anno fa, molto probabilmente la prima reazione sarebbe stata di terrore, anche perché sono cresciuta in una famiglia di donne super femministe. Ora un po’mi spaventerei all’inizio, ma poi andrei immediatamente a specchiarmi per prendere coscienza di avere realmente una possibilità diversa di vivere il mio tempo. Esplorerei questa opportunità, in tutte le sue sfaccettature: proverei a vedere com’è lavorare da uomo, com’è confrontarsi con una donna, come si sente lui quando gli si parla di certe questioni, soprattutto quelle in cui spesso l’universo maschile si incarta, in modo da comprenderne il motivo.
Gli uomini di oggi sono diversi da quelli delle generazioni precedenti?
Secondo me si sta creando una nuova generazione di maschi, di bambini che assimilano altri valori perché hanno delle madri che non sono come quelle di una volta. Sono donne che hanno avuto la possibilità di confrontarsi con situazioni, occasioni e concetti diversi rispetto alle nostre mamme. Ciò, ovviamente, non è imputabile a quest’ultime, semplicemente la società prima funzionava in quel modo.
In un partner qual è una caratteristica che aiuta la coppia?
Avere accanto una persona spiritosa ti cambia la vita. La capacità di sdrammatizzare alleggerisce alcune situazioni che si vengono a determinare in un rapporto, anche perché scherzando si finisce per dirsi cose più serie.
Qual è la frase peggiore che si possa dire a una donna?
“Stai calma”, specialmente quando viene detta mentre lei cerca di spiegare le sue ragioni. Quando una donna dà di matto, un uomo dovrebbe pronunciare delle frasi tipo: “Oddio cara, ma che succede? Fammi capire!”. E questo anche se in verità non gli interessa. In fondo noi donne lo sappiamo che ai nostri partner non importa nulla di comprendere le nostre motivazioni, ma basterebbe che si mostrassero disposti a cambiare. In questo modo ci farebbero almeno credere in un impegno da parte loro, anche se poi non è così. Basterebbe così poco…E invece, niente!
È così anche con il tuo compagno Emanuel? (Il ballerino, musicista e coreografo Emanuel Lo, ndr)
A me finisce tutto con “Vuoi un caffè?”. Quando io ed Emanuel litighiamo, lui è fantastico. A me si gonfiano le vene e tutti sentono le mie urla. Io sono una passionale, mentre le sue frasi sono di questo genere: “Mi sembra tutto un po’esagerato!”. A quel punto vado ancora più fuori di testa e minaccio di andarmene. Io faccio quasi le valigie, mentre lui cosa fa dopo cinque minuti? Mi si avvicina e mi offre un caffè! Allora mi chiedo con chi abbia parlato fino a quel momento!
A parte questo, quali sono le cose di lui che ti fanno arrabbiare di più?
È un visionario. E poi compie quei gesti quotidiani che mi costringono a lavorare il doppio. Per esempio, mi carica la lavastoviglie e io ci trovo dentro una penna. Lui si lamenta del fatto che voglia fare tutto io e mi accusa di essere una maniaca del controllo, ma il problema non è che non voglia essere aiutata: è che se qualcuno lo fa male, faccio prima a fare tutto da sola! Se esagero nella critica, si risente notevolmente. In quelle occasioni io tiro fuori, da donna, tutte quelle cose che ho sepolto per anni, le stesse che gli rinfaccio a ogni litigio. Adesso sono anche quindici anni che ci frequentiamo assiduamente, perciò di cose da dire ce ne sono…
È cambiato il vostro rapporto di coppia dopo la nascita di vostro figlio? (Samuel, nato nel 2010, ndr)
Quando arriva un figlio, la tua attenzione si sposta completamente su di lui. Dopo la nascita e dopo esserti accertata che tutto funzioni come deve, spetta a te riconcentrarti sulla coppia che, a quel punto, va ricomposta. Perché i figli sono meravigliosi, ma allo stesso tempo scombinano tutti gli equilibri.
Qual è il rapporto con tuo figlio? Ti guarda quando ti esibisci?
Da piccolo detestava tutto della mia carriera perché associava il mio lavoro alle mie partenze e quindi abbiamo vissuto la fase dei distacchi come tragedie, con i pianti e i sensi di colpa. Trascorsa quella fase, piano piano ci abbiamo lavorato su e adesso, ogni tanto, viene anche in tour, mi fa compagnia, segue i concerti, gli piace avere la scaletta. Alcuni miei pezzi gli piacciono tantissimo, se li canticchia. Io gli chiedo anche come sono andata e lui esprime la sua opinione. Tra una partita e la mamma, però, sceglie la partita. Quando sono stata ospite a Sanremo, nel 2017, poco prima di me c’era Totti. È stato quello il motivo per cui mi ha guardata: se non ci fosse stato il Capitano, non mi avrebbe considerata.
A proposito di concerti, quando si riascolta la propria voce, in generale, si prova fastidio. Tu che rapporto hai con la tua voce?
All’inizio la trovavo fastidiosissima, era una sofferenza vera e propria, poi però va di pari passo con il tuo lavoro interiore, fai pace con te stessa. E più la tua voce è spontanea, naturale, più ti piace, ti sembra quello che vuoi davvero sentire. Io ho impiegato quasi vent’anni per superare quella sensazione di fastidio.
Visto che tu sei una perfezionista, ti è mai capitato di pensare che avresti dovuto e potuto fare di meglio?
Continuamente. Un esempio è il momento in cui devo dare l’ok finale a un pezzo, è un vero e proprio tormento. Fino all’ultimo penso che avrei potuto fare diversamente una nota, una foto, ma alla fine è il tempo che ti dà delle risposte: alcune cose le apprezzi, su altre, invece, capisci che non ti eri sbagliata. In quei momenti è necessario ascoltare la propria voce interiore: se ci bisbiglia un “no, deve essere “no”. Pino Daniele mi diceva sempre questa frase:” Quando sei in dubbio, è meglio un no. Così non sbagli”.
Sei maniacale pure a casa?
Vorrei rispondere in maniera negativa, invece è così, ho paura di perdere il controllo. Anche perché quando devi ottimizzare i tempi, conciliare il lavoro, la cena, la spesa e tutto il resto, devi necessariamente calcolare ogni dettaglio. Io sono una persona che ama essere organizzata, altrimenti non ce la faccio. È qualcosa che, però, ho imparato da quando sono mamma. Secondo me c’è anche il senso di responsabilità che ti frega, a volte si fa troppo. Spesso è un fatto molto mentale, non sempre pratico.
Raccontaci un ricordo che porti sempre con te.
La prima volta che sono andata al Maurizio Costanzo. È stato nel 1993, non avevo fatto nemmeno Sanremo. Ero terrorizzata, incontrare un mito come Costanzo non capita tutti i giorni. Ma lui fu fantastico. Intanto mi permise di duettare con un jazzista incredibile, era una roba che capivamo in pochi. E poi mi fece cantare con mio padre: è un’immagine che conservo gelosamente nella mia memoria.
Cosa rappresenta per te il canto?
Il canto è liberatorio, non devono cantare solo quelli che sanno cantare. Tutti devono farlo perché fa bene, uno sfogo di voce fa sempre bene a una persona.
Quando hai un concerto, come sei la sera prima?
Di solito siamo in ritardo rispetto alla tabella di marcia, c’è tutto da fare, ma quel tutto si concretizza all’ultimo, per non si sa quale magia. Prima, però, l’atmosfera è tesa, io mi angoscio facilmente, non dormo la notte. L’ansia è parte di me, insomma. Per questo, a un certo punto, ho necessità di stare da sola.
Sbatti la porta, mandi via tutti e gridi “Basta, lasciatemi stare”?
Pago una persona che lo faccia per me, così io salvo le apparenze (Ride, ndr). Ecco, mio figlio mi salva in questo perché mi resetta. Quando arriva e mi mostra un disegno oppure quando lo sento che dà i calci al suo pallone, mi riporta per un attimo alla realtà e mi tranquillizza. Però io ho una paura tremenda di salire sul palco, ce l’ho ancora, forse più di quando ero giovane. Mani gelate, stomaco chiuso, ma per fortuna la gola si apre perché non si può cantare con la gola stretta, si basa tutto sul respiro. In realtà, bisogna lavorare più sul modo di respirare che sulla voce perché se non respiri bene, trasmetti ansia.
E quando arrivi sul palco e trovi davanti a te tutto il pubblico, qual è il primo pensiero che ti passa per la testa?
Io penso che ognuno di noi abbia, a suo modo, un momento di esposizione all’esterno, che sia un palco o un ufficio. Secondo me lì devi tirare fuori ciò che sei veramente, lì si vede se sei generoso, triste: si vede tutto. Sono momenti che vanno usati per un po’ di autoconoscenza. Nel mio caso accade una magia, che io penso di dovere al cielo perché non so davvero spiegarmi cosa succeda pochi minuti dopo aver creduto di non potercela fare. È una comunione di intenti, un collegamento con le persone: lì parlano altri elementi che non si possono spiegare a parole, è roba di anime, emozioni, che sono anche un po’ superiori alla fascia dove ci muoviamo quotidianamente. Quello fa la musica
Hai un sogno che non hai ancora realizzato?
No, anche se quando lo dico sembro una persona brutta. Per me il presente, essere qui, in questo momento, è un sogno realizzato.