Grazie alla penna capace di una grande professionista, quale è Marina Baldi, genetista forense, noi di Io le donne non le capisco vogliamo ripercorrere tutta la storia della piccola Yara, il suo calvario e la sentenza definitiva da parte della Cassazione.
Il caso giudiziario più famoso degli ultimi tempi si è finalmente concluso. La piccola Yara Gambirasio, 13 anni, è stata uccisa da Massimo Giuseppe Bossetti, muratore di Mapello, incensurato. Un uomo apparentemente mite, con una bella famiglia una splendida moglie, bei bambini, più o meno dell’età di Yara. Un uomo che invece, scrivono i giudici, coltivava una insana passione per le ragazzine, proprio come quella che scomparve da Brembate Sopra, il 26 novembre 2010. E che fu ritrovata casualmente, morta, in un campo a Chignolo d’Isola, in mezzo alle erbacce e alla neve, in un uggioso giorno di tre mesi dopo. Yara era stata aggredita, seviziata e percossa dal suo assassino che la lasciò morire in quella gelida notte, per il freddo e le lesioni.
Oggi sappiamo e possiamo affermare che Massimo Giuseppe Bossetti è il suo assassino e per questo orribile reato è stato condannato alla massima pena combinabile: l’ergastolo. Tale pena è stata confermata in tre gradi di giudizio, ultima la cassazione che solo qualche giorno fa ha respinto il ricorso dei legali della difesa, di fatto rendendo definitiva la condanna dell’imputato.
La vicenda giudiziaria ha riempito le cronache di questi anni. Non vi è testata giornalistica, televisiva, radiofonica o della carta stampata che non si sia occupata del caso. Sui Social fazioni di innocentisti e colpevolisti hanno riempito bacheche, costituito gruppi, promosso manifestazioni. Chi sosteneva l’innocenza ha promosso manifestazioni, scritto articoli concesso interviste e interventi radiotelevisivi forse sopra le righe, ma che dimostravano la piena convinzione delle proprie idee.
L’aspetto tecnico della difesa è passato in secondo piano rispetto a quello mediatico, alimentato da molte idee parecchio confuse che si sono diffuse nel tentativo di convincere l’opinione pubblica della estraneità di Bossetti dalla vicenda.
Ma una prova si è dimostrata granitica, quella del DNA, che tanto ha fatto parlare in questi anni tecnici e non, su questo argomento che è invece ad appannaggio di alcuni esperti particolarmente ferrati sull’argomento.
Il DNA di un uomo sconosciuto, che fu denominato ignoto 1, fu infatti rinvenuto in numerose tracce biologiche sugli slip di Yara, alcune sui leggings e addirittura il DNA di questo sconosciuto, fu rinvenuto anche all’interno di una delle ferite che Yara presentava sul corpo martoriato, come chiaramente indicato nella sentenza di I grado che descrive con precisione tutti gli accertamenti effettuati.
Con una mastodontica indagine si risalì, dopo anni, ma con assoluta certezza al fatto che quel DNA apparteneva al Bossetti e che nonostante alcuni piccoli dettagli non rilevanti, l’identificazione era, sia per i consulenti che per i giudici al di là di ogni ragionevole dubbio.
La vicenda giudiziaria, molto chiara e lineare, ha invece avuto aspetti inquietanti in relazione alla gestione mediatica degli eventi con l’intervento, soprattutto sui social, di opinionisti che nulla conoscevano e conoscono del fascicolo processuale.
Ora la vicenda si è conclusa e ciò che rimane è tanta amarezza al pensiero di quella ragazzina che non ha potuto vivere la sua adolescenza e la sua vita e al pensiero della sua famiglia, che con dignità e riservatezza ha seguito la vicenda giudiziaria senza mai mostrare rancore per chi ha fatto del male alla loro bambina. Possiamo solo essere vicini a questa famiglia straordinaria augurandoci che mai più nessuno debba vivere nel dolore per mano assassina.