Solo pochi giorni fa, il Procuratore Generale di Cassazione, Giovanni Salvi, aveva scritto nella sua relazione per l’anno giudiziario che “le violenze in danno di donne e di minori diminuiscono in numero, ma restano una emergenza nazionale” e ha definito “drammatico il fatto che permangono pressoché’ stabili, pur se anch’essi in diminuzione, gli omicidi in danno di donne, consumati nel contesto di relazioni affettive o domestiche, i cosiddetti ‘femminicidi’. Le donne uccise sono state 131 nel 2017, 135 nel 2018 e 103 nel 2019. Aumenta di conseguenza il dato percentuale, rispetto agli omicidi in danno di uomini, in maniera davvero impressionante”.
Solo ieri in poche ore sono stati riscontrati cinque casi di femminicidio, da nord a sud. In Alto Adige un pakistano di 38 anni ha ucciso la moglie all’ottavo mese di gravidanza. In Sicilia, a Mussumeli, nel Nisseno, un 27enne ha sparato a una donna con la quale aveva avuto una breve relazione e a sua figlia, poi si e’ suicidato; a Mazara del Vallo, nel Trapanese, un uomo ha massacrato di botte per tre giorni la moglie fino a ucciderla. In Sardegna, un uomo di 53 anni e’ in stato di fermo dopo che il corpo della compagna, scomparsa a dicembre, e’ stato ritrovato dai carabinieri. A Genova un uomo ha ucciso l’ex moglie poi ha tentato il suicidio.
Per parlare di questo drammatico tema è intervenuta in esclusiva a Io le donne non le capisco Maria Monteleone, magistrato e coordinatore del Gruppo antiviolenza della Procura di Roma.
“Quando accadono queste cose vuol dire che siamo tutti assenti. Trovo molto importante che il pg di Cassazione Giovanni Salvi, abbia posto l’attenzione sul femminicidio e abbia voluto ricordare questo problema gravissimo del femminicidio lanciando un allarme perché la gravità dei fatti non ce la dà solo il numero, il dato statistico delle persone uccise ma il problema è molto più vasto e ampio. Noi man mano che veniamo a conoscenza delle tante donne uccise mostruosamente ma ce ne sono tante altre che si sono salvate per un pelo. Ci sono tante donne sopravvissute ad anni di violenza e di maltrattamenti di condotte che le uccidono molto spesso non solo fisicamente ma anche psicologicamente. Penso che la donna uccisa a Trapani fosse una donna già uccisa psicologicamente” afferma la dott.ssa Monteleone.
“Permettetemi di fare una riflessione del tutto personale, vista la mia esperienza quotidiana, mi conferma che noi non fermeremo queste barbarie pensando di fare norme o disposizioni di legge mediaticamente allettanti, in realtà dobbiamo fare ben altro altrimenti questi crimini non li fermeremo mai. Dobbiamo fare qualcosa di più, vediamo la realtà: la donna uccisa a Trapani aveva denunciato. Il cosiddetto codice rosso – continua il magistrato- in questo caso era stato applicato ma evidentemente non è bastato, l’uomo era stato anche raggiunto da un ammonimento del Questore, e non è servito. Mi sembra evidente che quindi le cose non si risolvono in questo modo. E allora, che cosa dobbiamo fare? Secondo me abbiamo tutti una responsabilità gravissima. Quando dico tutti mi riferisco alle strutture sul territorio, le forze dell’ordine, i vicini e i familiari. Noi dobbiamo essere capaci di individuare queste persone di raggiungerle e assisterle sempre, perchè queste donne non hanno la consapevolezza di essere vittime, non sono capaci neppure di difendersi. Non abbiamo scelta, dobbiamo necessariamente predisporre delle strutture altamente specializzate ed efficienti che funzionano sul territorio.
Il problema non è che mancano le leggi o che quest’uomo denunciato non viene punito, la realtà purtroppo è molto diversa. Almeno nei casi più numerosi. Molte donne denunciano ma poi le ritrattano per paura perchè c’è un rapporto patologico che lega le vittime al loro aguzzino. Non è vero che non ci sono le leggi adatte e che non si interviene. Noi arrestiamo una marea di persone. In base ai dati che abbiamo questa donna si era allontanata dalla propria abitazione, era stata accolta in una casa famiglia ma poi era tornata a vivere con quest’uomo. Aveva ritrattato e ritirato le denunce. Batate che il problema e ve lo posso testimoniare in quanto li vivo quotidianamente, è che ci sono molte donne che vengono in pronto soccorso, vengono assistite per aver subito lesioni e botte dal convivente o dal marito e si rifiutano a verbale di fare la denuncia e la querela. E noi su questo abbiamo le mani legate.
In questi casi la famiglia è fondamentale, qui bisogna combattere l’indifferenza ed è in primis di chi sta intorno ad una donna. Casi in cui ci sono vicini di casa, familiari e compagne di lavoro che fanno finta di non vedere o di non capire. Le sentinelle, le spiede di situazioni di violenza sono tutte le persone che vivono intorno a queste donne. Questo è il primo allarme e sono loro che devono fare il primo intervento sulla donna rendendola consapevole della situazione che non può assolutamente non essere tollerata. È questo l’unico strumento che abbiamo perchè quando arriviamo noi con la repressione, purtroppo è tardi, il guaio è già compiuto.
La legge dell’anno scorso ha introdotto modifiche importanti e ci permette di inseguire forme criminale. A mio avviso presenta degli aspetti critici che possono essere corretti, la nostra attenzione deve essere concentrata su casi davvero seri e gravi. Questo è l’aspetto critico di una disposizione che ha un carattere generale: dire che tutti sono urgenti equivale a dire che nessuno è urgente.
Il ruolo della famiglia e dei conoscenti è fondamentale. Una lezione che possiamo trarre da queste terribili vicende è che non bisogna lasciare sole le vittime, sarebbe opportuno immaginare che anche i servizi sociali e territoriali e le forze dell’ordine riuscissero tutte insieme nei casi di maggiore gravità una frequente possibilità di contattare queste donne. Si richiede però così una capacità di intervento capillare sul territorio e questo ce lo può dare un potenziamento dei servizi sul territorio come i centri anti violenza. La possibilità, ed esempio, di poter monitorare nel tempo queste situazioni a rischio al di là di come va il procedimento penale. Non servono solo fondi ma anche sensibilità e la capacità di fare rete sul territorio per avvicinare tutte le donne. Purtroppo i fatti di cronaca più gravi accadono nei posti più isolati del nostro Paese. Noi dobbiamo avere la capacità di creare strutture e personale capace di intervenire in qualunque posto.
Le donne più fragili sono quelle meno attrezzate culturalmente. Dobbiamo fare cultura con le donne. Con la repressione non si risolve il problema, bisogna fare prevenzione. Vorrei dire a tutte le donne che le porte delle stazioni dei Carabinieri, i commissariati e le porte degli uffici giudiziari della Procura sono tutte aperte. Siamo sempre ponti ad aiutare a dare assistenza e informazioni di cui hanno bisogno” conclude Maria Monteleone.