Conoscete “la SINDROME DELLA CAPANNA (o del prigioniero)? Abbiamo desiderato tanto l’arrivo del 4 Maggio, in cui le misure si sono un po’ allentate ma, ora che ci siamo, perché alcuni di noi hanno paura di uscire? È forse la paura di ributtarsi nei ritmi forsennati di sempre? Oppure abbiamo riscoperto quanto sia bello rallentare e godere del tempo libero?
È questo il tema su cui ci siamo interrogati questa settimana sulla nostra pagina Facebook di Io le donne non le capisco, ed è ciò di cui abbiamo discusso in studio insieme ai nostri ospiti Loredana Petrone (psicologa), Maurizio Lupardini (psichiatra) e Francesca Neri.
“Le motivazioni che non ti fanno uscire di casa sono tante, la sindrome della capanna è la difficoltà di riadattarsi ad una quotidianità persa” – spiega Loredana Petrone. “Questa situazione disorienta e confonde e aumenta un senso di ambiguità in quanto il nostro cervello non è programmato. Non c’è il rischio di cambiare il carattere ma sicuramente vedremo delle trasformazioni di comportamento. Ci sono parecchie similitudini con la 11 settembre perché anche in quel caso la gente aveva paura di uscire per il timore di altri attentati. Piano piano loro sono tornati alla normalità. Le criticità sono analoghe a questo momento storico. Non avendo certezze su ciò che accadrà, le due situazioni possono essere paragonate. La paura ci terrorizza. Di positivo da questa epidemia è la valorizzazione delle relazioni, vivevamo tempi esasperati che ci avevano fatto perdere l’importanza dello stare con gli altri, noi oggi li ricerchiamo e per questo ci manca il contatto e l’abbraccio. Abbiamo dato queste cose per scontato ma che scontate non sono”.
“In questo periodo abbiamo vissuto una finta sicurezza nello stare all’interno della nostra casa, in quanto ci siamo sentiti sicuri dal punto di vista del virus ma incerti dal punto di vista lavorativo” racconta Maurizio Lupardini. “Altre paure nascono dai dpcm che non spiegano esattamente cosa è consentito e non consentito fare. Anche le mascherine sono un altro problema, si perde la maggior parte di possibilità di comunicazione non verbale e il cervello ha difficoltà ad adattarsi a questa situazione. Noi siamo abituati a muoverci nella nostra cornice sicura e ci fa stare bene con noi stessi, ma questa pandemia ha cambiato le nostre abitudini e questo mutamento ti stanca fisicamente perché c’è una iper-attivazione dei nostri radar. La fatica psicologica incide sullo stress e quindi sul fisico. Dobbiamo stare attenti non tanto al comportamento ma alle abitudini. La pandemia ha avuto caratteristiche classiche del classico stress post traumatico. Chi abitualmente non si saluta stringendosi le mani o abbracciandosi sono i militari e gli uomini di chiesa perché le emozioni devono essere filtrati, noi siamo animali socievoli e ne sentiamo la mancanza in quanto quel confine sicuro non c’è più. L’aspetto positivo di questa situazione difficile è il fatto che questa chiusura forzata ci ha fatto riflettere sul superfluo e sull’essenziale. Ora dobbiamo imparare ad integrare questo nuovo modo di vivere nella nostra cultura”.
“All’inizio di tutta questa pandemia abbiamo sperato tutti di diventare migliori, in realtà sappiamo che non è così, le persone dimenticano in fretta” racconta Francesca Neri. C’è chi è predisposto a un determinato percorso spirituale ma c’è anche chi non ha imparato nulla. Ieri ho scoperto che a Padova si sono inventati delle mascherine dove è possibile vedere la bocca. Trovo questa cosa geniale, perché ci manca vedere il sorriso delle persone e se tutti avessimo questo tipo di mascherina il sorriso ci regalerebbe lo stesso calore di un abbraccio. Mi definisco una casalinga, quindi in questo periodo non ho fatto fatica chi aveva una vita frenetica deve fare tesoro di questi momenti. Chi aveva una vita proiettata al fare ora deve apprezzare le piccole cose quotidiane che inevitabilmente si erano trascurate. Anche i rapporti funzionano in questo senso, la convivenza è stata messa a dura prova ma laddove ha funzionato bisogna farne tesoro”.